Il rito del caffè

L’autunno è finalmente arrivato e, per gran parte dei millennial, significa fare il rewatch delle Ragazze Gilmore e osservarle sorseggiare litri infiniti di caffè al giorno, pensando: “è umanamente impossibile poter bere tutti quei caffè”.

Vero, lo è… ma non per mia madre, che le supera di gran lunga. E il suo caffè non è neanche americano, ma il classico espresso.

Sfido a trovare un italiano che non abbia nella sua storia ricordi legati al caffè.

I miei più dolci risalgono alle mattine di quando vivevo con i miei genitori: sin da piccolissima, il primo caffè della giornata era accompagnato dal suono della moka e dal suo profumo che invadeva la casa, prima ancora che aprissi gli occhi. Passi in cucina, apertura dell’anta, acqua che scorre, filtro, montagnetta di caffè, moka avvitata, click click… e dopo pochi minuti, l’aroma che ti accoglieva.

Ogni gesto era, ed è ancora, fatto lentamente, con cura. Il caffè di mia madre è un piccolo rituale personale, un momento di silenzio e ricarica prima che il mondo e la casa si sveglino. Seguono poi altri tre caffè prima delle 11, facilitati dalla macchina con le cialde.

Le mie mattine non sono molto diverse, ma il buon caffè per me deve essere accompagnato dalla dolcezza del latte. Non è un buon giorno senza un buon cappuccino. Prima ne bevevo anche tre o quattro, poi il corpo ha detto “basta”: oggi me ne basta uno, preparato con calma e con amore verso me stessa.

Il caffè non è solo una bevanda: racchiude storie, calma, attenzione e legami. È un rituale di cura personale, ma anche di incontro. Un caffè condiviso con amici o con chi amiamo diventa tempo di ascolto, complicità e presenza. Non suggerisco di replicare i quattro caffè mattutini di mia madre, ma il primo della giornata, rigorosamente in moka, sì: aiuta a rallentare, a dare un vero buongiorno alla giornata e a creare momenti che uniscono e scaldano il cuore.

Perché il caffè non è mai solo caffè: è casa, è attenzione, è gesto d’amore, è vivere nel qui ed ora.